La Corte di Cassazione con la sentenza 1705 del 21 gennaio 2016 delinea e circoscrive l’ambito applicativo del divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c. con particolare riguardo alla vendita con patto di riscatto.
Nel caso di specie i ricorrenti chiedevano alla Suprema Corte di voler riconoscere la nullità del contratto di compravendita concluso con la società convenuta ai sensi dell’art. 2744 c.c., in quanto lo stesso era stato stipulato al fine di garantire un precedente credito della stessa società nei loro confronti.
Il divieto di patto commissorio ex art. 2744 c.c., secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza – cui aderisce anche la sentenza in epigrafe – si applica a tutti i negozi astrattamente leciti, ma che in concreto perseguano lo scopo di “assoggettare il debitore all’illecita coercizione del creditore”.
Il debitore è “costretto” a trasferire un bene di sua proprietà al creditore pur di estinguere il debito. Per l’effetto, la libertà negoziale della parte debole del rapporto risulta soggiogata dalla volontà del creditore.
Il discrimen per l’applicazione della sanzione di cui all’art. 2744 c.c. (nullità del contratto) si rinviene nella causa in concreto del negozio.
Ciò posto, nella particolare fattispecie della vendita con patto di riscatto ex art. 1500 c.c. il confine tra contratto valido e contratto nullo ex art. 2744 c.c. è labile e sfuggente.
La ratio di tale istituto è quella di consentire al venditore di poter riacquistare la proprietà del bene dedotto nel contratto di compravendita entro un determinato termine e previo pagamento del corrispettivo esercitando il patto di riscatto.
Il patto di riscatto è accessorio al contratto di compravendita. Ne deriva che anche la vendita ex art. 1500 c.c. – al pari di quella ex art. 1470 c.c. – presuppone una funzione di scambio di un bene previo pagamento di corrispettivo.
Parimenti non si può dire laddove tale negozio sia stipulato al solo fine di garantire un credito dell’acquirente nei confronti del venditore. In ipotesi siffatte, il contratto di cui all’art. 1500 c.c. si presta ad eludere, anche se non direttamente, il dettato normativo dell’art. 2744 c.c. Nella vendita con patto di riscatto con funzione di garanzia il corrispettivo del bene “non costituisce pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo”, mentre il trasferimento del bene “serve solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o meno l’obbligo di restituire le somme ricevute”.
Ma quand’è che la vendita con patto di riscatto dissimula una funzione di garanzia?
Sul punto molteplici sono le pronunce della giurisprudenza di legittimità.
La sentenza in epigrafe, aderendo all’orientamento consolidato, offre una disamina dettagliata delle ipotesi in cui la vendita con patto di riscatto non svolge una funzione di garanzia.
In particolare la vendita con patto di riscatto, ferma restando la necessità che il corrispettivo sia proporzionato al valore del bene acquistato, non elude il divieto di patto commissorio quando:
– non è offerta la prova del mutuo (Cass. 5635/2005);
– è pattuita per soddisfare un precedente credito rimasto insoluto (Cass. 19950/2004);
– manca l’illecita coercizione della volontà del debitore (Cass. 8411/2003);
– la titolarità del bene passa all’acquirente con l’obbligo di ritrasferimento della proprietà al venditore in caso di esatto adempimento di quest’ultimo (Cass. 7175/1944).
Facendo applicazione di tali principi la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendo che il contratto di compravendita, nel caso di specie, fosse stato stipulato per consentire ai venditori di acquisire la provvista per adempiere a debiti già scaduti.