Quando si parla di gestione attiva e gestione passiva si fa riferimento normalmente al Risparmio Gestito, cioè ai Fondi comuni di investimento ed agli Etf (degli uni e degli altri ci occuperemo a breve).
La gestione attiva è tipica dei fondi comuni di investimento ed è una strategia che mira ad ottenere un rendimento più alto (o almeno uguale, abbassando il rischio dell’investimento) a quello dell’indice di riferimento, cioè il benchmark. Questo deve essere fatto in maniera costante, perchè solo così la gestione attiva può essere definita efficiente.
Chi sottoscrive un fondo comune di investimento chiede al gestore di investire il proprio denaro in un preciso mercato finanziario di riferimento, chiede cioè di diversificare i propri risparmi nel fondo, delegando il gestore stesso ad acquistare e vendere migliaia di titoli azionari e obbligazionari, a seconda della tipologia del fondo. Questo presuppone perciò che il gestore del fondo applichi una gestione attiva sul capitale investito, selezionando continuamente i titoli migliori da mantenere in portafoglio. Per cui il gestore cambierà nel tempo l’asset allocation, variando la quantità e i titoli in portafoglio, secondo le condizioni di mercato.
Nella gestione passiva, invece, il compito del gestore è quello di replicare il benchmark in termini sia di rendimento sia di rischio. Gli Etf (Exchange traded fund) sono gli strumenti a gestione passiva per eccellenza, che seguono fedelmente il proprio indice di riferimento. In sostanza, se un fondo a gestione passiva, per esempio, ha l’obiettivo di replicare la performance dell’indice italiano FTSE MIB, acquisterà tutti i titoli presenti nel paniere dell’indice stesso, con la stessa proporzione.
Risulta essere interessante chiedersi se la gestione attiva è in grado di ottenere un rendimento più alto rispetto alla gestione passiva.
Diciamo subito che uno dei principali vantaggi della gestione passiva è quello di effettuare un numero di operazioni di compravendita di titoli minore rispetto alla gestione attiva. Questo significa ridurre di molto i costi di negoziazione, per cui, a parità di rendimento rispetto al benchmark, un gestore passivo otterrà una performance superiore a quella di un gestore attivo. Un altro vantaggio è quello di rinviare il pagamento delle tasse sui guadagni in conto capitale (prezzo di vendita meno prezzo di acquisto), che verranno regolate al momento della vendita.
Dagli studi effettuati negli ultimi 40 anni si evince come, nel lungo termine, il fondo comune medio attivo registri un rendimento inferiore al benchmark, dopo che sono stati considerati i costi e le tasse. Si deve infatti tener conto che, acquistando dei fondi gestiti in modo attivo, si pagano spese di entrata e di uscita (dove previste per l’una e per l’altra), alti costi di gestione alla Società di Gestione per la sua attività, costi di negoziazione per comprare a vendere i titoli inseriti nel fondo, e, dove previste, le commissioni di performance da versare se il fondo batte il benchmark.
In conclusione, possiamo affermare che la gestione passiva batte nel tempo la gestione attiva, e che è preferibile, quindi, investire in Etf piuttosto che in Fondi comuni di investimento. Tale conclusione vale chiaramente in via generale, nel senso che esistono anche sul mercato fondi comuni di investimento a gestione attiva che riescono a battere il mercato.
Risulta essere vero che ciò che interessa ai risparmiatori è il rendimento netto, ma informarsi meglio su benchmark, strategie di investimento dei gestori, rating degli strumenti finanziari, commissioni, costi e quant’altro, dà più consapevolezza dei rischi a cui si va incontro e del rendimento atteso.