Punto di partenza dell’analisi dei giudici della Suprema Corte è stata l’evoluzione storica della norma, l’art.314 cp è, infatti, il frutto di un’opera di “semplificazione e chiarimento” intrapresa dal legislatore.
“Semplificazione”, in quanto l’attuale 314 cp è stato ricavato unificando le due precedenti figure delittuose del peculato e della malversazione a danno di privati (prevista originariamente dal 315 cp).
L’art 315 cp (oggi abrogato) si caratterizzava, oltre che per la pena ridotta, per l’oggetto materiale della condotta costituito dal denaro o dalla cosa mobile non appartenente alla P.A., mentre l’appartenenza a quest’ultima era richiesta nel peculato.
La nuova figura di peculato non prevede più il requisito della appartenenza del denaro o cosa mobile alla P.A., sostituito nell’attuale 314, dalla nozione di “altruità” del denaro o della cosa mobile (ricomprendendo in tale espressione sia la titolarità pubblica che privata), ed è altresì scomparsa la “condotta distrattiva, a profitto proprio o di altri”.
“Chiarimento”, invece, in quanto il legislatore ha previsto, affiancandolo al possesso del denaro o della cosa mobile, il requisito della loro “disponibilità” da parte dell’agente (ampliando in tal modo le maglie del penalmente rilevante superando il rischio di letture troppo restrittive della nozione di possesso).
A completamento è stata, inoltre, introdotta la nuova figura del peculato d’uso, ossia di un uso momentaneo della cosa seguita dalla sua immediata restituzione.
Nella nuova formulazione risulta, dunque, indifferente l’appartenenza della cosa alla P.A. ovvero ai privati. Ne consegue, a parere della Corte, che oltre a “vulnerare l’interesse per il buon andamento e l’imparzialità della P.A., il peculato offende anche l’interesse che il titolare del bene oggetto dell’appropriazione ha di conservarlo”. Tale interesse sarà normalmente di carattere patrimoniale ma non si può escludere che sia, anche o solo, di altra natura.
Da questa analisi emerge la natura plurioffensiva del peculato poiché all’indubbia esigenza si attribuire rilievo al disvalore delle particolari forme di abuso che si realizzano attraverso le condotte di appropriazione o di uso non compatibili con la funzione o il servizio, si affianca quella di tutelare gli aspetti patrimoniali che risultino danneggiati da condotte lesive di interessi propri della stessa P.A., ovvero di soggetti privati.
Da tale ricostruzione, la Corte deduce che l’eventuale mancanza di danno patrimoniale conseguente all’appropriazione non esclude la sussistenza del reato, atteso che resta pur sempre leso dalla condotta dell’agente l’altro interesse, ossia il buon andamento della P.A. (A sostegno della tesi in esame la Corte richiama il costante orientamento giurisprudenziale che ritiene la semplice restituzione della somma sottratta al privato non idonea al fine di ottenere il riconoscimento dell’attenuante della riparazione del danno).
A conclusione dell’iter argomentativo la Corte richiama per rafforzare la propria ricostruzione due ulteriori fattispecie in cui la giurisprudenza è giunta a medesime conclusioni. L’abuso d’ufficio finalizzato ad arrecare ad altri un danno ingiusto, dove la giurisprudenza afferma costantemente la natura plurioffensiva del reato per la sua idoneità a ledere, oltre all’interesse pubblico al buon andamento anche il concorrente interesse del privato a non essere turbato nei propri diritti costituzionalmente garantiti dal comportamento illegittimo ed ingiusto del pubblico ufficiale. Altra norma richiamata è, inoltre, l’art. 328 c.2 cp ovvero il delitto di omissione di atti di ufficio, il quale lede oltre l’interesse pubblicistico anche il concorrente interesse del privato eventualmente danneggiato dall’omissione o dal ritardo dell’atto amministrativo dovuto. Non rientra invece, a parere della Corte, in tale categoria l’ipotesi di peculato mediante profitto dell’errore altrui (art.316cp), in tale ipotesi, infatti, le concrete modalità di realizzazione coinvolgono i soli interessi patrimoniali dell’amministrazione finanziaria dello Stato.
Su tale impostazione la Corte giunge alla risoluzione del caso concreto: dalla natura plurioffensiva del delitto di peculato discende che il privato danneggiato dalla condotta appropriativa del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, riveste la qualità di persona offesa dal reato ed è quindi legittimata a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione. Per tali ragioni la Corte ha annullato il provvedimento impugnato in quanto l’omesso avviso della richiesta di archiviazione determina la violazione del contraddittorio con la conseguente nullità del decreto.