Il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario con decisione del 24 giugno 2014, n. 3955, est. Gambaro ha affermato che in tema di interessi moratori usurari non vi sono ostacoli all’applicazione della norma dispositiva di cui all’art. 1224, comma 1, c.c., con la conseguenza di ritenere comunque dovuti gli interessi moratori “manifestamente eccessivi” ancorché nella ridotta misura, convenzionalmente fissata, di quelli corrispettivi.
Dunque, la clausola che prevede interessi moratori è da ritenersi una clausola penale, riducibile equitativamente ex art. 1384 c.c. (mentre non si applica l’art. 1815 c.c., come invece ritiene da ultimo Trib. Padova 13 maggio 2014); nei contratti con il consumatore, la clausola può ritenersi nulla in quanto abusiva e gli interessi moratori sono “sostituiti” con gli interessi corrispettivi, in applicazione della norma dispositiva di cui all’art. 1224 c.c., i quali comunque costituiscono “un deterrente significativo rispetto alla pratica delle clausole abusive nei contratti con i consumatori”.
A tal riguardo, infatti, il Collegio osserva che la differenza tra il tasso degli interessi moratori previsto dalla clausola abusiva ed il tasso convenzionale degli interessi corrispettivi, deve necessariamente essere significativa, in quanto, in caso contrario, verrebbe meno lo stesso presupposto di nullità della clausola costituito dalla manifesta eccessività del relativo importo. La manifesta eccessività, infatti, non può che dedursi principalmente dalla sproporzione tra gli interessi moratori e quelli corrispettivi, così come già stabilito in altri precedenti (cfr. Coll. coord. n. 1875 e n. 3412 del 2014). Pertanto, la riconduzione della misura degli interessi moratori al tasso legale, derivante dall’applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c., sarebbe comunque idonea a garantire quell’effetto deterrente richiesto dal diritto europeo.
In questo modo, Il Collegio di coordinamento si è espresso su uno dei principali problemi che attualmente riguardano la tematica degli interessi moratori, quello relativo alla loro assoggettabilità al tasso di soglia in materia di usura.
Sebbene non si tratti di una novità, tale questione ha assunto un particolare rilievo a seguito della nota pronuncia della Corte di Cassazione del 9 gennaio 2013, la quale ha affermato che il tasso soglia sarebbe applicabile agli interessi “promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo di interessi moratori” (Cass. 9 gennaio 2013 n. 350, in Nuova gur. civ. comm., 2013, I, 675, con nota di Tarantino, Usura e interessi di mora).
La tesi dell’applicazione del tasso soglia anche agli interessi moratori era stata peraltro già affermata dalla giurisprudenza costituzionale (C. Cost. 25 febbraio 2002, n. 29, sebbene incidentalmente) e dalla precedente giurisprudenza di legittimità (Cass. 22 aprile 2000, n. 5286).
Tale orientamento, tuttavia, è stato disatteso dall’Arbitro Bancario Finanziario (A.B.F.), secondo il quale gli interessi moratori non devono essere assoggettati al tasso di soglia dell’usura, ma alla disciplina della clausola penale (cfr. Coll. Coord. n. 1875 del 2014, est. Gambaro).
Il “contrasto giurisprudenziale” inaugurato dalle decisioni dell’A.B.F. nasce dal presupposto secondo cui gli interessi moratori costituiscono una tipica ipotesi di clausola penale, conformemente a quanto previsto anche dal diritto europeo.
Dalla qualificazione degli interessi moratori in termini di “clausola penale” deriva l’applicazione della disciplina prevista per quest’ultima, tra cui anche la riduzione ad equità degli interessi moratori manifestamente eccessivi, ai sensi dell’art. 1384 c.c. A tal riguardo, inoltre, sorgono due ulteriori questioni, relative, rispettivamente, al criterio da utilizzare al fine di verificare la “manifesta eccessività” degli interessi moratori ed alla conseguente misura della riduzione da applicare nel caso concreto.
Ad ogni modo, le implicazioni più interessanti che derivano dall’assimilazione degli interessi moratori alla clausola penale riguardano il diritto dei consumatori.
In tale ambito, infatti, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. f), cod. cons., la clausola penale manifestamente eccessiva, che non sia stata oggetto di trattativa, deve ritenersi “abusiva” fino a prova contraria, e pertanto nulla ai sensi dell’art. 36 cod. cons. (cfr. Coll. Coord. n. 2666 del 2014, est. Quadri, ma già ordinanza di rimessione del Collegio di Roma del 17 gennaio 2014, n. 260, est. Sirena)
Questa soluzione pone una questione interpretativa di carattere più generale, che consiste nella individuazione delle conseguenze della nullità della clausola abusiva sulle sorti del contratto.
Si tratta di un problema che è stato già affrontato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in diversi casi. Una fondamentale pronuncia è rappresentata dalla sentenza Banco Español del 14 giugno 2012, la quale ha statuito che l’art. 6, paragrafo 1, della direttiva sulle clausole abusive, osta ad una normativa di uno Stato membro che consenta al giudice nazionale di integrare il contenuto di un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore a seguito della dichiarazione di nullità di una clausola abusiva.
Il medesimo principio, poi, è stato ribadito dalla sentenza Asbeek Brusse del 30 maggio 2013, con la quale la Corte di giustizia ha stabilito che il giudice nazionale non può “ridurre l’importo della penale imposta a carico del consumatore anziché disapplicare integralmente la clausola in esame nei confronti di quest’ultimo”.
Tuttavia, la dottrina che si è occupata di analizzare l’evoluzione della giurisprudenza europea sul punto, ha evidenziato come quest’ultima abbia inteso vietare solamente una integrazione del contratto per via giudiziale, ma non anche una integrazione dello stesso mediante l’applicazione del diritto dispositivo abusivamente derogato dal professionista (cfr., tra gli altri, Alessi, Clausole vessatorie, nullità di protezione e poteri del giudice: alcuni spunti fermi dopo le sentenze Jőrös e Asbeek Brusse, in www.juscivile.it, 7, 2013, 388 ss.).
In relazione a quest’ultima ipotesi, l’A.B.F., Collegio di Roma, con decisione del 23 maggio 2014, n. 3415, est. Sirena, ha affrontato la specifica questione relativa alla possibile integrazione del contratto, a seguito della nullità della clausola contente un tasso di interessi moratori manifestamente eccessivo, mediante l’applicazione della norma dispositiva di cui all’art. 1224, comma 1, c.c., la quale, come è noto, prevede che “se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura”.
Ad avviso del citato Collegio (remittente), tuttavia, tale conclusione sarebbe incompatibile con il diritto europeo e, in particolare, con l’art. 6, paragrafo 1, e con l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE.
Con riferimento all’art. 6, paragrafo 1, della suddetta direttiva, si evidenzia come tale disposizione sia stata costantemente interpretata dalla Corte di Giustizia nel senso di ritenere in contrasto con il diritto europeo qualsiasi integrazione del contratto a seguito della eliminazione della clausola abusiva, dovendo piuttosto procedersi ad una mera disapplicazione della stessa, restando il contratto “vincolante per le parti secondo i medesimi termini” (art. 6, par. 1, dir. 93/13).
In senso contrario, inoltre, non varrebbe richiamare la recente pronuncia della medesima Corte di giustizia del 30 aprile 2014, Kásler, secondo la quale l’art. 6, par. 1, dir. 93/13 non impedisce al giudice nazionale di sostituire la clausola abusiva con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva nel caso in cui il contratto non possa sussistere dopo l’eliminazione della suddetta clausola (su tale pronuncia, v. D’adda, Il giudice nazionale può rideterminare il contenuto della clausola abusiva essenziale applicando una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva, in Questa rivista). Lo stesso art. 6, infatti, prevede che il contratto resti vincolante secondo i medesimi termini “sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive”. Pertanto, qualora invece la clausola non sia “essenziale” ed il contratto possa sussistere senza tali clausole, come nel nostro caso, resterebbe fermo il principio più volte affermato dalla Corte di giustizia secondo cui è fatto divieto al giudice di integrare il contenuto del contratto depurato della clausola abusiva.
Per quanto riguarda, invece, l’art. 7, paragrafo 1, della medesima direttiva, il Collegio di Roma sottolinea come l’art. 1224, comma 1, sia inidoneo a “fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive” nei contratti con i consumatori (art. 7, par. 1, dir. 93/13). Pertanto, l’applicazione della norma dispositiva che “riduce” gli interessi moratori allo stesso tasso di quelli corrispettivi sarebbe in contrasto con il suddetto art. 7, in quanto di fatto eliminerebbe quell’effetto dissuasivo nei confronti del professionista determinato invece dalla pura e semplice non applicazione della clausola abusiva, dal momento che i professionisti “rimarrebbero tentati di utilizzare tali clausole, consapevoli che, quand’anche esse fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale” (sentenza della Corte di giustizia UE, Banco Español, del 14 giugno 2012, punto 69).
Sulla questione è quindi intervenuto il Collegio di coordinamento dell’A.B.F. con decisione del 24 giugno 2014, n. 3955, est. Gambaro, il quale ha invece affermato che, nella suddetta ipotesi, non vi sono ostacoli all’applicazione della norma dispositiva di cui all’art. 1224, comma 1, c.c., con la conseguenza di ritenere comunque dovuti gli interessi moratori manifestamente eccessivi ancorché nella ridotta misura, convenzionalmente fissata, di quelli corrispettivi.
In particolare, il Collegio di coordinamento, proprio valorizzando la specifica finalità emergente dall’art. 7 della stessa direttiva (ostacolare il futuro impiego di clausole abusive nei rapporti commerciali con i consumatori), ha richiamato quell’orientamento della Corte di giustizia secondo il quale sarebbe compito del giudice nazionale valutare il carattere effettivamente dissuasivo della sanzione della nullità della clausola abusiva, con la conseguenza che il giudice interno non deve procedere all’applicazione di una norma suppletiva solamente nel caso in cui ritenga che la sostituzione della suddetta clausola con il diritto dispositivo sia idonea a privare la sanzione stessa del carattere realmente dissuasivo (cfr. sentenza del 27 marzo 2014, C-565/12, LCL Le Crédit Lyonnais SA).
Sulla scorta di tali considerazioni, quindi, il Collegio di coordinamento ha ritenuto che “l’applicazione del disposto dell’art. 1224 c.c. non priva la regola di cui all’art. 33, 2° comma, lett. f) del Codice del consumo dal costituire un deterrente significativo rispetto alla pratica delle clausole abusive nei contratti con i consumatori”.
Infatti, osserva il Collegio, la differenza tra il tasso degli interessi moratori previsto dalla clausola abusiva ed il tasso convenzionale degli interessi corrispettivi, deve necessariamente essere significativa, in quanto, in caso contrario, verrebbe meno lo stesso presupposto di nullità della clausola costituito dalla manifesta eccessività del relativo importo. La manifesta eccessività, infatti, non può che dedursi principalmente dalla sproporzione tra gli interessi moratori e quelli corrispettivi, così come già stabilito in altri precedenti (cfr. Coll. coord. n. 1875 e n. 3412 del 2014). L’applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c. è dunque idonea a garantire l’effetto deterrente richiesto dal diritto europeo.