Con ordinanza n. 20393 del 26 settembre 2014 n. 20393, Rel. De Chiara, pronunciata in seno a un giudizio di opposizione allo stato passivo (art. 99 l.fall.), la Corte di Cassazione ribadisce una consolidata interpretazione dell’art. 2704 c.c., facendone però applicazione in una fattispecie densa di spunti per la prassi forense.
Accade spesso che le domande di insinuazione nello stato passivo vengano rigettate perché il contratto dal quale discende il credito, non avendo data certa anteriore al fallimento, non è opponibile alla curatela (artt. 44 e 45 l.fall.).
In particolare, posto che la curatela è considerata terza rispetto a tale contratto (cfr. ex multis Cass. Civ., sez. un., 20.2.2013 n. 4213), assume rilievo l’art. 2704 c.c., che affronta il problema della individuazione del momento a partire dal quale la data di una scrittura privata può considerarsi «certa e computabile» nei confronti dei terzi. A tal fine la disposizione, dopo avere indicato una serie di ipotesi tipiche (la registrazione del contratto o la morte di uno degli autori della scrittura) che attribuiscono certezza alla data di un documento (melius: alla anteriorità del documento rispetto al fatto contemplato), rimanda con una formula aperta a ogni «altro fatto che stabilisce in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento».
È dunque evidente – come ribadito dalla giurisprudenza (Cass. Civ., sez. I, 1.4.2009 n. 7964) – che l’elencazione contenuta nell’art. 2704 c.c. non ha carattere tassativo, ma esemplificativo e che è rimessa «al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto idoneo, secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la data certa» (Cass. Civ., sez. I, 22.10.2009 n. 22430); fermo restando che tale non può considerarsi un fatto riconducibile alla sfera di disponibilità del soggetto che lo invoca (Cass. Civ., sez. I, 21.4.2014 n. 1167), non essendovi qui alcuna certezza in ordine alla sua collocazione temporale.
Nel caso affrontato dall’ordinanza in esame, il credito di cui il Tribunale aveva negato l’insinuazione nello stato passivo, rigettando la relativa opposizione, discendeva da un contratto di apertura di credito in sé privo di data certa. Tuttavia il contratto era stato sottoscritto dal preposto a una filiale che risultava essere stata ceduta a un’altra banca diversi anni prima della dichiarazione del fallimento. In particolare, la documentazione prodotta dimostrava che la filiale in questione (nonchè tutte le altre filiali della medesima provincia) era ricompresa nel ramo di azienda assegnato, nell’ambito di una scissione parziale, a un nuovo soggetto bancario. E la data della scissione (anteriore rispetto al fallimento) era certa, risultando dal relativo atto pubblico.
L’ordinanza in esame, così, dischiude una strategia difensiva potenzialmente proficua per gli istituti di credito, spesso esposti al rischio di essere esclusi dal concorso fallimentare perché il titolo contrattuale della loro pretesa è privo di data certa: la prova della anteriorità rispetto all’apertura del fallimento potrebbe essere reperita, grazie a una fortunata eterogenesi dei fini, nei processi di aggregazione e di riorganizzazione che hanno interessato negli ultimi due decenni gran parte del mondo bancario.