E’ tramontata l’era del formato europeo del curriculum: basta dunque all’anonima pagina bianca gremita di informazioni che ci riguardano redatte a carattere microscopico (perché gli esperti insegnano che il c.v. deve essere al massimo di due pagine per non tediare troppo chi lo legge).
Poiché ci sono milioni di curricula in circolazione, tutti ancora impostati secondo i dettami del formato europeo, per distinguersi dalla massa e catturare l’attenzione degli esaminatori diventa indispensabile trovare alternative al classico c.v. scritto, fermo restando di fornire un profilo chiaro, preciso e sintetico.
Ecco quindi che l’infografica può venirci in aiuto. Si tratta di una tecnica di comunicazione per cui i dati vengono organizzati e presentati non verbalmente ma attraverso grafici, immagini, timeline, disegni ed organigrammi. Il risultato è un curriculum ad immediato impatto visivo che, per esempio, dispone lungo una linea temporale le nostre esperienze di lavoro e inserisce in un grafico a torta le nostre soft skills. La consultazione è più rapida ed efficace perché si sollecita la vista attraverso l’immagine e non la parola ed è meno noiosa perché la pagina è colorata e la sua architettura è più “mossa”.
Per creare un’infografica del nostro curriculum, non occorre armarsi di infinita pazienza e trascorrere ore al pc a disegnare tabelle usando i noti applicativi informatici. Su Internet, infatti, Re.vu e Vizualize.me sono siti che permettono di farlo in modo facile ed intuitivo. Basta registrarsi ed una procedura automatica ci guiderà passo passo nella compilazione di tutti i campi, dalle informazioni anagrafiche, a quelle sulla nostra educazione e storia lavorativa, fino al nostro portfolio se siamo dei creativi. Tutto quello che inseriamo verrà visualizzato graficamente. In alternativa, entrambi i siti possono estrapolare i dati direttamente dal nostro account di LinkedIn e creare un profilo in automatico. Il risultato può essere stampato oppure caricato sullo stesso LinkedIn ma anche su Twitter e Facebook. Perché in fondo, la nostra, è una società dell’immagine.