Cass., 24 febbraio 2014, n. 4383 torna su un tema affrontato per la prima volta, in un caso analogo, da Cass., 2 dicembre 2011, n. 25863 (in Guida al diritto, 2012, 8, 52, s.m.): la natura giuridica dell’accollo interno, e la possibilità di estendere ad esso i vizi del rapporto “accollato” (nella specie, un debito di interessi non dovuti, in quanto ultralegali ai sensi dell’art. 1284; almeno così dice la sentenza, in modo in realtà approssimativo, trattandosi – sembrerebbe di capire – di un debito per interessi anatocistici fondato sulla capitalizzazione trimestrale dell’interesse passivo, in contrasto con l’art. 1283 c.c., secondo un illegittimo uso negoziale bancario, invalso fino alle note sentenze della Cassazione dagli anni ’90 in avanti: v. per tutte Cass., 11 novembre 1999, n. 12507, in Corr. Giur., 1999, 1485, con nota di Carbone; Cass., 20 febbraio 2003, n. 2593, in Giur. It., 2003, 1399).
La sentenza è assai interessante perché, in obiter dictum, tratteggia anche la nozione dell’accollo esterno codicistico, confermando un trend della giurisprudenza di legittimità, di ritorno alla visione più consolidata dell’accollo esterno come contratto a favore di terzo, che fa acquistare al creditore una ragione di credito verso l’accollante indipendentemente da un suo espresso consenso (il consenso del creditore serve solo a rendere irrevocabile la stipulazione a suo favore, come detto dall’art. 1273, 1° comma, c.c. con evidente richiamo alla disciplina dell’art. 1411, in materia di contratto a favore di terzo).
Ma andiamo con ordine.
Il caso è il seguente. L’impresa appaltatrice subisce un procedimento monitorio dall’Istituto Autonomo Case Popolari di Taranto (committente) per il pagamento di alcune somme di denaro: in base infatti ad accordi intercorsi, l’IACP si era impegnato ad anticipare le somme dovute all’impresa come corrispettivo dei suoi lavori, in ragione degli stati d’avanzamento, ancora prima di ricevere i relativi finanziamenti dalla Regione, facendosi finanziare con un’apertura di credito in conto corrente presso un istituto di credito; l’impresa, da parte sua, si sarebbe dovuta accollare (accollo interno) il debito degli interessi passivi dovuti dall’IACP alla banca in conseguenza del predetto finanziamento, ma alla fine si rifiuta di pagare, adducendo sia una negligenza dell’IACP nell’attivarsi per ottenere i finanziamenti regionali, sia, soprattutto, l’illegittimità degli interessi dovuti alla banca, in quanto interessi anatocistici frutto di capitalizzazione trimestrale, in contrasto con il disposto dell’art. 1283 c.c..
L’opposizione a decreto ingiuntivo da parte dell’impresa viene rigettata in entrambi i gradi del giudizio di merito, e la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, conferma la decisione impugnata.
Negli accordi tra IACP e impresa viene ravvisato un accollo “interno” (o semplice) del debito da interessi dovuti alla banca: si tratta di un accordo ad effetti obbligatori che opera solo nei rapporti interni tra accollante e accollato, a differenza dell’accollo “esterno” previsto all’art. 1273 c.c., in quanto debitore della banca resta sempre e soltanto l’IACP, mentre l’impresa si obbliga semplicemente ad assumersi il peso economico del debito, senza rendersi a sua volta debitrice dell’istituto di credito finanziatore.
L’accollo interno si traduce nell’obbligo di rimborsare il debitore, una volta effettuato da questi il pagamento al creditore; o nell’obbligo di fornirgli in anticipo la somma con cui andare a pagare; o, ancora, nell’obbligo di adempiere direttamente nelle mani del creditore come terzo adempiente, ai sensi dell’art. 1180 c.c.; oppure nell’obbligo di stipulare con il creditore un’espromissione con cui il terzo si assumerà il debito altrui (v. Cicala, voce Accollo, in Enc. Dir., I, Milano, 1958, 284).
In ogni caso l’accollante, in virtù del contratto di accollo interno, non diventa mai debitore del creditore accollatario, nemmeno nel caso in cui questi vi aderisca: è superata la tesi per cui ogni accollo nasce come accollo interno, e diventa esterno se il creditore presta il suo consenso (per quanto in giurisprudenza a volte riemerga, come nella nota Cass., 24 maggio 2004, n. 9982, in Foro it., 2004, I, 3405 ss.; in Corr. giur., 2004, 1173 ss., con nota di Palma; in Guida al dir., 2004, fasc. 24, 41 ss., con nota di Bruno; in Dir. e giust., 2004, fasc. 26, 24 ss., con nota di Perinu; in Contratti, 2005, 253 ss., con nota di Pecoraro; in Nuova Giur. Civ. Comm., 2005, I, 523 ss., con nota di D’Andrea; in Riv. not., 2005, II, 322 ss., con nota di Manuli).
L’accollo che nasce come interno è un patto che riguarda solo i contraenti, con cui cioè l’“accollante” si obbliga a tenere indenne l’accollato del peso economico di una sua obbligazione, per le cause più svariate: come corrispettivo di un’operazione contrattuale; per spirito di liberalità (e ricorre allora una donazione obbligatoria); per estinguere una precedente passività (accollo interno solvendi causa: in luogo dell’adempimento, il terzo si impegna a tenere indenne il creditore da un suo debito, e, a seconda del momento estintivo della precedente obbligazione, si potrà ravvisare una datio in solutum o una novazione).
Perché l’accollo riesca invece ad attribuire all’accollatario una ragione di credito verso il terzo accollante, la volontà delle parti deve essere chiara in tal senso, e solo in questo caso si avrà un contratto a favore di terzo, aperto alla sua adesione per rendere irrevocabile la stipulazione a suo favore, ai sensi dell’art. 1273, 1° comma (v. già Rescigno, Studi sull’accollo, Milano, 1958, 10, 15, 52, 199; Ferrante, Accollo e responsabilità sussidiaria: a proposito di una sentenza “annunciata”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 266; La Porta, L’assunzione del debito altrui, in Tratt. di dir. civ. e comm., già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2009, 290 s.; Grasso, Delegazione, espromissione e accollo (Artt. 1268-1276), in Cod. Civ. Commentario, fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Milano, 2011, 117 s.; Stefini, Solidarietà e sussidiarietà nell’assunzione cumulativa del debito altrui, in www.juscivile.it, 2013, 801 ss.).
Va da sé, da quanto detto, che l’accollo interno non incide sull’obbligazione originaria tra accollato e creditore accollatario, non potendo realizzare né una successione nel debito né una novazione soggettiva: l’obbligazione “accollata” serve solo a determinare, per relationem, l’oggetto dell’obbligazione che l’accollante si va ad assumere verso l’accollato in virtù del contratto tra gli stessi intercorso. L’oggetto della prestazione dovuta dall’accollante è cioè determinabile con riferimento alla prestazione dovuta dall’accollato al creditore (nel caso di specie, l’obbligo di corrispondere gli interessi dall’IACP alla banca), ma non si ha alcun subentro nell’obbligazione, che continua a gravare sull’originario debitore.
Giustamente, quindi, la Corte ribadisce che l’eventuale illegittimità degli interessi corrisposti dall’IACP all’istituto di credito va fatta valere esclusivamente dallo stesso IACP, come unico titolare passivo del rapporto obbligatorio, mentre la prestazione dovuta dall’impresa accollante non è quella di corrispondere gli interessi, ma è solo parametrata su quest’ultima. Certo, resta il problema di tutelare l’accollante interno da un’eventuale inerzia dell’IACP, che negligentemente non faccia valere le sue ragioni verso la banca, così aggravando la posizione contrattuale di chi si è accollato il peso economico del debito: ma il rimedio potrà essere al massimo quello risolutorio-risarcitorio per violazione del dovere di buona fede, la c.d. exceptio doli generalis, non la nullità del contratto per violazione della norma dell’articolo 1283 c.c. (divieto di anatocismo).
Addirittura più importante è tuttavia la ricostruzione che la Corte fa in obiter dictum dell’accollo esterno, perché, come accennato all’inizio, si supera l’orientamento inaugurato dalla famosa Cass., 24 maggio 2004, n. 9982, cit. (per intendersi, la sentenza che per la prima volta accolse l’impostazione dottrinale di chi ritiene che, in ogni ipotesi di accollo cumulativo, e più in generale in ogni ipotesi di solidarietà tra obbligazioni nascenti da fonti diverse, vi sia sempre sussidiarietà tra gli obbligati in solido: vi sarebbe sempre cioè un beneficium ordinis, in base al quale il creditore dovrebbe chiedere la prestazione prima all’accollante e solo sussidiariamente al debitore originario: v. Campobasso, Coobbligazione cambiaria e solidarietà disuguale, Napoli, 1974, 246 ss., spec. 268 ss.; Id., voce Accollo, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 5; La Porta, L’assunzione del debito altrui, in Tratt. di dir. civ. e comm., già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2009, 17 ss.; per una critica a questa ricostruzione, v. Stefini, Solidarietà e sussidiarietà nell’assunzione cumulativa del debito altrui, cit., 769 ss., spec. 777 ss.).
Accogliendo infatti l’impostazione seguita dalla Corte nella sentenza del 2004, bisogna concludere che non soltanto nell’accollo liberatorio (in cui il consenso del creditore è imprescindibile), ma anche in quello cumulativo, arrecandosi comunque un pregiudizio al creditore (che si trova costretto a chiedere l’adempimento al terzo accollante prima di poter tornare a far valere le proprie ragioni contro il debitore originario), è imprescindibile il consenso del creditore accollatario: come condizione di efficacia dell’accollo esterno nei suoi confronti, indispensabile cioè affinché l’accollo spieghi il suo effetto di attribuirgli una ragione di credito verso il terzo accollante (così Cass., 27 gennaio 1992, n. 861, in Giust. Civ. Mass., 1992, 101, nonché Cass., 24 maggio 2004, n. 9982, cit.; in dottrina, v. Cicala, Accollo, in Saggi sull’obbligazione e le sue vicende, 2a ed., Napoli, 2001, 27 s., che dubita peraltro che l’efficacia dell’adesione retroagisca al momento della stipulazione; Rolli, L’accollo, in Le obbligazioni – L’obbligazione in generale, art. 1173-1320 c.c., a cura di Franzoni, Torino, 2004, 853 ss.; La Porta, L’assunzione del debito altrui, cit., 213 ss.; Grasso, Delegazione, espromissione e accollo, cit., 101 ss.); o addirittura come elemento perfezionativo del contratto di accollo esterno, che sarebbe sempre trilaterale (è la c.d. “teoria dell’offerta”, peraltro fortemente criticata già al suo apparire, secondo cui l’accollo richiederebbe sempre l’accettazione del creditore: essa è stata proposta in Italia, sulla scorta della dottrina tedesca, da Rescigno, Studi sull’accollo, cit., 240 ss., e si trova già in Falzea, L’offerta reale e la liberazione coattiva del debitore, Milano, 1947, 301 ss., dove si parla di negozio aperto all’adesione del creditore, e non di negozio a favore di terzo; in giurisprudenza, questa tesi è riemersa proprio dopo la presa di posizione della Cassazione del 2004 sulla necessaria degradazione a sussidiaria dell’obbligazione del debitore accollato, e precisamente in Cass., 24 febbraio 2010, n. 4482, in Foro it. Rep., voce Obbligazioni in genere, n. 71). In questo senso si tende a valorizzare il disposto dell’art. 1273, u.c.: “In ogni caso il terzo è obbligato verso il creditore che ha aderito alla stipulazione nei limiti in cui ha assunto il debito”.
Al contrario, negli ultimi anni, la Corte di legittimità sembra essere tornata sui suoi passi, affermando che, trattandosi di un contratto a favore di terzo, il consenso del creditore non è mai indispensabile per fargli acquistare il credito verso il terzo accollante, nemmeno come condicio juris di efficacia della stipulazione a suo favore (così lo stesso Campobasso, voce Accollo, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988, 4): serve solo a rendere irrevocabile tale stipulazione, secondo le regole proprie della contrattazione a favore di terzi, ma non serve a fargli acquistare il diritto verso il terzo accollante (in questo senso v. Cass., 2 dicembre 2011, n. 25863, cit., richiamata espressamente nella sentenza in commento, e soprattutto Cass., 8 febbraio 2012, n. 1758, in Foro it. Rep., voce Obbligazioni in genere, n. 77, secondo cui è l’adesione del creditore, in analogia con quanto previsto in materia di delegazione all’art. 1268, 2° comma, a far degradare a sussidiaria l’obbligazione del debitore originario, postulando che, anche in assenza dell’adesione, l’accollo sia comunque perfezionato e idoneo ad attribuire al creditore il diritto verso l’accollante, senza però alcun onere di preventiva richiesta a quest’ultimo).
La sentenza in commento prosegue su questa strada, ribadendo la natura di contratto a favore di terzo dell’accollo esterno, in cui l’acquisto del credito in capo al creditore accollatario “consegue direttamente dal perfezionamento del negozio di accollo tra l’accollante e il debitore accollato”. Solo l’accollo liberatorio (in cui cioè si prevede già come clausola del contratto la liberazione del debitore originario) deve essere riguardato come negozio trilaterale, che richiede il necessario consenso dell’accollatario: nell’accollo cumulativo, invece, il diritto si acquista per effetto della semplice stipulazione tra accollante ed accollato, mentre il consenso del creditore serve a rendere irrevocabile la stipulazione a suo favore e (come rilevato da Cass., 8 febbraio 2012, n. 1758, cit.) a far degradare a sussidiaria l’obbligazione del debitore originario, il quale altrimenti, senza il consenso del creditore, non potrebbe godere di alcun beneficium ordinis nei confronti dell’accollante (come del resto si evince dall’art. 1268, 2° comma, c.c. in materia di delegazione di debito, che prevede sussidiarietà solo se il creditore accetta la delegazione). Per una ricostruzione più completa della solidarietà nell’accollo cumulativo, sia consentito rinviare a Stefini, Solidarietà e sussidiarietà nell’assunzione cumulativa del debito altrui, cit., 769 ss., spec. 801 ss.).